Che cosa è la comunione dei beni tra coniugi?
Quando si parla di comunione dei beni tra coniugi è necessario, prima di tutto fare chiarezza distinguendo tra la comunione legale e la comunione ordinaria dei beni.
Prima della riforma del 1975 il regime legale adottato nel caso in cui i coniugi non avessero stipulato uno specifico accordo era quello della SEPARAZIONE DEI BENI, dopo il 1975 e ancora oggi, il regime legale è quello della COMUNIONE LEGALE. In sostanza, se i coniugi nulla dichiarano al momento del matrimonio il regime che opera in “automatico” è quello della comunione legale. Il codice stabilisce quali sono i beni che costituiscono oggetto della comunione (art.177 c.c.) e quelli che invece vengono definiti “beni personali” e che, pertanto, ne restano esclusi (art.179 c.c.).
I BENI CHE ENTRANO IN COMUNIONE SONO:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
c) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
Sono invece ESCLUSI dalla comunione, perché considerati beni personali, quelli il cui coniuge era proprietario prima del matrimonio, quelli che ha acquistato anche durante il matrimonio per successione o per donazione e i beni di uso personale o che sono da considerarsi necessari per l’esercizio di una professione.
COME SI AMMINISTRANO I BENI DELLA COMUNIONE?
Entrambi i coniugi hanno l’amministrazione disgiunta sui beni della comunione ma se debbono compiere atti che eccedono l’ordinaria amministrazione ogni decisione deve essere presa congiuntamente come dispone l’articolo 180 C.C.. È chiaro che possono sorgere dei disaccordi ma nel caso di rifiuto del consenso di uno dei coniugi su un atto di straordinaria amministrazione è possibile per l’altro rivolgersi al giudice ai sensi dell’articolo 181 e chiedere l’autorizzazione al compimento dell’atto. Le conseguenze di atti compiuti senza il consenso dell’altro coniuge sono espressamente previste nell’articolo 184 del codice: “Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’articolo 2683.
L’azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione. Se l’atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo scioglimento stesso.
Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è obbligato su istanza di quest’ultimo a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione”.