Assistenza agli anziani: quali resposabilità per i figli?

Conseguenze civili e penali derivanti dalla mancate cure ai genitori anziani e non autosufficienti: consigli pratici.

 

Quando in una famiglia i genitori diventano anziani e, non di rado, incapaci di badare (anche solo in parte) a se stessi, accade purtroppo spesso che i figli si trovino a litigare riguardo alla loro necessaria assistenza e sostegno economico. Capita allora che anche chi è animato dalle migliori intenzioni, si trovi nella condizione di non saper cosa fare a causa dei rifiuti e delle scuse portate dai fratelli o dagli altri congiunti.

A riguardo, è bene subito chiarire che occuparsi delle cure e dell’assistenza di un genitore che, a causa della salute precaria, dell’età avanzata o delle ridotte disponibilità economiche non è in grado di provvedere a se stesso, anche solo parzialmente, non è solo un dovere morale ma anche giuridico.

Se, infatti, non esiste una specifica norma che imponga assistenza morale e materiale all’anziano in quanto tale, come contrariamente avviene con riguardo ai doveri reciproci fra coniugi e ai doveri dei genitori verso i figli [1], è pur vero, tuttavia che la legge disciplina una serie di situazioni alle quali ci si può senz’altro richiamare con specifico riferimento al problema in esame.

Cosa prevede la legge

Innanzitutto va chiarito che per legge [2], fino a quando il figlio convive con la famiglia d’origine egli ha anche l’obbligo:

– di rispettare i genitori

– nonché di contribuire al mantenimento della famiglia in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito.

Sbaglia, perciò, chi ritiene naturale, continuando ad abitare con il genitore fino a ben oltre la maggiore età, di dover ricevere da quest’ultimo vitto, alloggio, cure e assistenza, senza che gravino anche su di lui dei precisi doveri morali e materiali.

Gli alimenti (il sostegno economico)

Va poi considerato che il soggetto di età avanzata è molto spesso anche una persona che versa in “stato di bisogno” in quanto non dispone di redditi propri o, anche quando ne dispone, questi si rivelano insufficienti per provvedere a tutte quelle necessità di cura e assistenza che si accrescono inevitabilmente in misura proporzionale all’età e all’aggravarsi di eventuali malattie.

Nel soggetto anziano, infatti, come più volte ribadito dalla Cassazione [1] l’incapacità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento (strettamente legata a quella lavorativa) deve ritenersi implicita e non necessita, quindi, di una specifica prova contraria (che comunque può sempre essere fornita da chi ne abbia interesse).

Ricorrendo, dunque, queste condizioni (stato di bisogno e incapacità di autosostentamento) è dovere dei figli (a prescindere dalla convivenza con l’anziano) concorrere nel versare al genitore gli alimenti [2], ciascuno in proporzione delle proprie condizioni economiche.

Sul tema ci siamo specificamente soffermati nella guida “Stato di bisogno di familiari anziani: alimenti, come e da chi ottenerli” alla quale rinviamo, non senza prima fare alcune importanti precisazioni:

– per chi non ha i mezzi economici, l’ obbligato può adempiere all’obbligo di versare gli alimenti anche con modalità alternative al corresponsione di una somma di denaro, offrendo al richiedente di ospitarlo e mantenerlo in casa;

– in mancanza di accordo tra i soggetti obbligati la decisione viene presa dal giudice in proporzione al bisogno del richiedente e alle condizioni economiche di chi dovrà somministrarli: il magistrato potrà anche, in caso di urgente necessità, porre l’obbligazione a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il regresso verso gli altri.

Dunque, ove sorga un contrasto tra fratelli (o altri familiari) in merito ad un adempimento spontaneo, l’interessato potrà rivolgersi al giudice affinché stabilisca le modalità di somministrazione degli alimenti, per la quale non possono ritenersi esentati neppure coloro che per ragioni di lavoro abbiano posto la propria dimora lontano dal soggetto bisognoso (classico il caso del figlio che adduce come motivazione per disinteressarsi del genitore il fatto di vivere in un’altra città).

Si tratta questa di una soluzione che non esclude la scelta di affiancare l’anziano alla figura di un amministratore di sostegno, (preferibilmente scelto tra uno dei familiari) affinché – redigendo un periodico rendiconto al giudice tutelare – curi gli interessi dell’anziano che si trovi nell’incapacità, anche solo parziale, di provvedervi.

Le conseguenze penali della mancata assistenza

Nel caso in cui, poi, all’anziano (la legge parla di “ascendenti”) vengano fatti mancare i mezzi di sussistenza, il rischio è quello di dover rispondere del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare [3] punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da 103 a 1.032 euro.

Sempre sotto lo stretto profilo penale, il comportamento dei figli (o di altri familiari) che manchino di prestare all’anziano cure e assistenza configura un’autonoma figura di reato che è quella dell’ abbandono di minori o persone incapaci [4]: esso punisce, infatti, oltre all’ abbandono del minore, anche quello della persona “incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa”.

Per abbandono si intende non solo il fatto di lasciare il soggetto in balia di se stesso ma anche quello di affidarlo, sia pure per breve tempo, a persone che non siano in grado di prendersene cura: si pensi al caso dell’anziano che, per la particolare situazione di salute in cui versa, necessiti di specifiche cure infermieristiche.

La pena prevista per questo reato è quella della reclusione da 6 mesi a cinque anni, ma tale pena è aumentata quando l’abbandono è posto in essere da soggetti particolarmente vicini al soggetto bisognoso, quali il coniuge o i figli.

L’anziano che per l’età avanzata o la malattia sia incapace di provvedere a se stesso è, infatti, equiparabile al minore che venga lasciato solo in casa. Come ha infatti chiarito la Cassazione, la vecchiaia può considerarsi come una causa di incapacità di provvedere a se stessi; per tale motivo essa implica la custodia e la cura dell’ anziano in modo tale che gli siano garantite le misure occorrenti per l’igiene propria e dell’ambiente in cui vive [5].

Tuttavia, sempre i Supremi giudici hanno spiegato che “ai fini della sussistenza del reato, la presunzione di incapacità non è assoluta in quanto essa non costituisce una condizione patologica bensì fisiologica che “deve essere accertata concretamente quale possibile causa di inettitudine fisica o mentale all’adeguato controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l’incolumità propria” [6].

Che succede se è l’anziano a rifiutare l’assistenza?

Non è poi raro il caso che il genitore, proprio in ragione di quella caparbietà che spesso caratterizza le persone più anziane, sia il primo a rifiutare di essere assistito, specie quando – impossibilitati per ragioni di lavoro all’assistenza diretta – i figli siano costretti a delegare un terzo (ad esempio una badante) alle sue cure.

Spesso il rifiuto dell’anziano scaturisce dal timore del cambiamento delle proprie abitudini di vita o dall’incapacità di accettare di non essere più in grado di occuparsi da solo di se stesso. In tal caso, sotto il profilo strettamente legale, non viene meno l’obbligo dei figli alla cura e all’assistenza e ciò significa che essi potrebbero ugualmente incorrere in responsabilità specie dove il genitore, lasciato incustodito, si procuri delle lesioni o venga segnalato alle autorità in quanto versi in stato di abbandono.

Sotto il profilo strettamente giuridico la soluzione non è da ricercare – ove naturalmente il genitore sia nella piena capacità di intendere e di volere – nel farsi firmare da quest’ultimo una dichiarazione scritta di rifiuto all’assistenza. Tale soluzione, infatti, non sarebbe in grado di mettere i figli a totale riparo da responsabilità atteso che il reato di abbandono di persone incapaci fa riferimento alla condizione oggettiva di incapacità (cioè a quella di non avere le capacità fisiche e/o cognitive per poter far poter far fronte a situazioni di necessità) e non a quella giuridica (ad esempio l’interdizione dichiarata dal giudice).

Si tratta, come è evidente, di situazioni delicate ed estremamente difficili da gestire, ma il consiglio, nel primario interesse dell’anziano prima ancora che della famiglia, è quello di non assecondare la sua volontà di totale autonomia, specie dove si sia pienamente consapevoli della sua situazione di non autosufficienza. Una adeguata assistenza, infatti, ha proprio lo scopo di condurre il soggetto bisognoso di cure ad un prolungamento e non ad una limitazione della sua autonomia e occorre puntare a rendere l’anziano consapevole proprio di questo.

Consigli pratici

Ecco allora di seguito alcuni suggerimenti per coloro che si trovano a scontrarsi da un lato con la necessità di ricorrere ad una forma di assistenza esterna per il genitore e dall’altro col rifiuto di quest’ultimo a farsi aiutare:

valutare prioritariamente in famiglia quale possa essere la forma di tutela più giusta per il congiunto, a seconda della gravità del problema (amministrazione di sostegno, interdizione, semplice assistenza domiciliare, ecc.) e verificare se uno dei familiari sia disposto ad assumere l’incarico di sostegno dell’anziano non solo per gestire le ordinarie questioni economiche ma anche quelle dell’assistenza quotidiana;

informarsi preventivamente su chi possano essere i soggetti e/o le strutture in grado di fornire, nel luogo di residenza dell’anziano, assistenza domiciliare (o ricovero per i casi più gravi), in modo da essere in grado di parlare al familiare più che consapevolmente ed essere in grado di dare risposta ai dubbi che certamente esprimerà;

ascoltare e non sminuire le esigenze espresse dall’anziano senza mostrarsi impositivi (ad esempio l’esigenza di essere accompagnato solo per alcuni momenti della giornata);

– affrontare il problema in momenti di reciproco relax, in modo da essere entrambi aperti al dialogo;

– cercare di coinvolgere nel problema altri familiari o persone nelle quali il genitore ripone fiducia;

– spiegare all’anziano che l’assistenza renderebbe da un lato voi più sereni e dall’altro che essa favorirebbe la sua autonomia, in quanto permetterebbe a lui di continuare a fare le cose di prima senza correre rischi di sorta;

– chiedere all’anziano di rendersi quantomeno disponibile ad un breve periodo di prova: sarà così più facile che comprenda i benefici di avere accanto quotidianamente qualcuno.

 

[1] Art. 143 e 147 cod. civ.

[2] Art 315 bis ult. co. cod. civ.

[3] Cass. sent. n. 3334/07; n.21572/06; n. 9185/04; n. 1099/90.

[4] Art. 591 cod. pen.

[5] Art 433 e ss. cod. civ.

[6] Art. 570 cod. pen.

[7] Cass. sent. n.31905/09.

[8] Cass. sent. n. 6885/99.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...