Figlio maggiorenne: la perdita del lavoro non fa rinascere il mantenimento

Una volta che il figlio maggiorenne abbia già lavorato dimostrando capacità lavorativa e capacità di essere autosufficiente, la perdita del lavoro e la momentanea disoccupazione, non fanno rivivere il diritto al mantenimento da parte del genitore, i cui presupposti sono già venuti meno. Rimane fermo il diritto agli alimenti che si basa su presupposti diversi.

La Corte d’appello di Catania, con il decreto 26 novembre 2014, ha respinto il reclamo di una donna titolare di assegno di mantenimento per se e per il figlio maggiorenne, confermando la decisione del Tribunale che aveva disposto la revoca dello stesso.

Il marito aveva agito per la modifica delle condizioni di separazione e il Tribunale di Siracusa gli aveva dato ragione.

L’uomo aveva perso il lavoro, e il figlio di ventitre anni aveva terminato gli studi e aveva cominciato a lavorare come muratore con contratto a tempo indeterminato. In seguito, aveva perso il lavoro e comunque era stato assunto con contratti a termine, sempre come muratore.

La donna si era difesa assumendo che non sussistevano giustificati motivi per la revisione, in quanto il figlio non aveva ancora conseguito l’autonomia economica e che al momento era disoccupato. Anche lei era disoccupata e la proprietà dell’appartamento in cui abitava, non le consentiva un tenore di vita analogo a quello tenuto durante il matrimonio.

Infine denunciava che il marito in realtà non fosse disoccupato ma lavorasse “al nero”.
Il Tribunale di Siracusa aveva accolto il ricorso e aveva annullato l’obbligo di corresponsione del mantenimento per la moglie e per il figlio.

In sede di reclamo del provvedimento, la Corte, valutando corretta la motivazione del Tribunale, ribadisce che in materia di mantenimento del figlio maggiorenne, vige il “principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui una volta conseguita da parte del figlio maggiorenne l’autonomia economica, mediante un’attività lavorativa che dimostri una capacità adeguata, è da escludere che possa rilevare la sopravvenienza di circostanze ulteriori che, pur determinando l’effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento, i cui presupposti erano già venuti meno” (Cass. Civ. n. 1761/2008 e Cass. civ. n. 1585/2014).

Eventualmente può sorgere il diritto agli alimenti che si basa su presupposti diversi ma non il diritto al mantenimento.

In pratica lo svolgimento di attività lavorative dimostra che il figlio è in grado di sapersi rendere economicamente autosufficiente a prescindere dal dato contingente del mercato lavorativo.
Anche in relazione al mantenimento della moglie, il reclamo è infondato.

Rispetto a quanto pattuito in sede di separazione, la già valutata disparità economica tra i coniugi non sussiste più e non si giustifica la corresponsione dell’assegno da parte del marito.
Nessuno dei due coniugi può vantare un lavoro regolare e, anche se il marito ha una qualifica lavorativa specifica, la moglie ha il vantaggio di vivere in una casa di sua proprietà, che nella situazione attuale ha un rilievo diverso da quello considerato in separazione.

In quella sede, quando il marito percepiva un reddito fisso da lavoro dipendente, la proprietà della casa non era stata considerata sufficiente a pareggiare la condizione economica dei coniugi, ma oggi, nella situazione di precarietà di entrambi, deve essere valutata diversamente.

La denunciata circostanza della fittizia disoccupazione del marito non è stata provata e pertanto la Corte respinge il reclamo e condanna la parte soccombente al pagamento delle spese liquidate in applicazione del nuovo art.13, L. 31.12.2012 n. 247 e del DM 10.3.2014 n. 55, pubblicato in GU il 2.4.2014.

(Altalex, 4 aprile 2015. Nota di Giuseppina Vassallo)

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